PROVINCIA DI PESARO E URBINO
CITTA’ D’ARTE
PESARO
Storia e cultura
Capoluogo di provincia, sorge in corrispondenza della foce del fiume Foglia, stretta sui due lati dal colle Ardizio a sud-est e dal promontorio del colle S. Bartolo a nord-ovest. L’identità di Pesaro passa soprattutto attraverso i suoi luoghi: essi definiscono gli spazi del vivere civile, diventano contenitori di realtà permanenti, come musei, biblioteche, chiese e teatri, ville, monumenti e palazzi gentilizi, e di eventi temporanei diversi: mostre, concerti, performance teatrali, incontri, percorsi.
Il luogo fu abitato fin dal sec. VI a.C. (scalo marittimo alla foce del Pisaurus, l'attuale Foglia), ma la deduzione della colonia romana di Pisaurum fu opera di Quinto Fabio Nobiliore (184 a.C.). Testimonianze archeologiche varie sono state ritrovate in tempi diversi, sia all'interno del centro storico che lungo l'antico tracciato che da Fano, prima con percorso collinare e solo più tardi con percorso rettilineo costiero, saliva dopo il fosso Sejore lungo il tracciato dell'attuale via panoramica del colle Ardizio, per scendere in direzione di Pesaro sull'asse dell'attuale quartiere di Monte Granaro. Lastre marmoree, cippi e reperti vari sono oggi esposti presso il ricco Museo Oliveriano di Palazzo Almerici. Dopo alterne vicende, la città decadde progressivamente fino alla sua distruzione ad opera dei Goti di Vitige (539 d.C.). Gradualmente ricostruita sulle rovine dell'abitato romano, fece parte con Rimini, Fano, Senigallia e Ancona della bizantina Pentapoli Marittima e successivamente, dopo una breve dominazione dei Longobardi, fu donata dai Franchi al Pontefice, entrando così nell'orbita della Chiesa romana (774 d.C.). Divenuta libero comune nella prima metà del XII secolo, lottò con le città vicine (Fano in particolare) per espandere il proprio territorio, fino a quando non ne divenne Podestà (anno 1285) Malatestino Malatesta, seguito nella stessa carica dal figlio Giovanni (detto Gianciotto), marito tradito della celebre Francesca da Polenta, resa immortale dai versi di Dante Alighieri per il suo tragico amore per il cognato Paolo. Gli successe nel 1304 il fratello Pandolfo I cui seguirono nel 1326 Malatesta detto Guastafamiglia e nel 1343 Pandolfo II, valoroso capitano di ventura con il quale i Malatesta assunsero il titolo di Signori di Pesaro. Con la sua scomparsa (1429) si ebbe il definitivo declino del ramo pesarese dei Malatesta, quando Galeazzo cedette la città con regolare contratto ad Alessandro Sforza (1445). Con la morte di Giovanni Sforza, sfortunato cognato di Cesare Borgia di cui subì l'ambiziosa prepotenza dopo averne sposato la sorella Lucrezia, la signoria di Pesaro passò a Francesco Maria I Della Rovere, nipote di Papa Giulio II (1513). Con i Della Rovere, Pesaro, entrata a far parte del ducato di Urbino, ne divenne l'effettiva capitale fino alla devoluzione del ducato alla Santa Sede (Papa Urbano VIII), dopo la morte di Francesco Maria II (1631). Da allora Pesaro fu città capoluogo, insieme con Urbino, dell'omonima Legazione Pontificia, affidata ad un Cardinal Legato fino al periodo napoleonico e, dopo la restaurazione, fino all'unificazione italiana (1861).
FONTANA DI PIAZZA DEL POPOLO
Nel centro di Pesaro sono rimaste quattro antiche fontane, restaurate in tempi moderni: in piazza del Popolo, quella del Trebbio in piazza Lazzarini, la fonte del Porto in piazza Doria, la Foglietta nei pressi del porto canale in calata Caio Duilio. In seguito all'ampliamento voluto da Guidubaldo II Della Rovere di piazza del Popolo, al suo centro viene eretta tra il 1588 e il 1593, per iniziativa di Francesco Maria II Della Rovere, una nuova fontana che sostituisce quella allora esistente dal XIV secolo nell’attuale largo Mamiani. Viene per questo eletto un ‘soprastante alla fonte’, cui spetta anche il compito di presiedere la ristrutturazione dell'acquedotto cittadino da cui la fontana si alimenta. In occasione della nascita del principe Federico Ubaldo Della Rovere (1605), sono aggiunti otto 'mascheroni', mentre nel 1621 per il matrimonio dello stesso Federico con Claudia de' Medici viene inserito un gruppo di delfini bronzei e altri ornamenti. Negli anni 1684-'85 la fontana subisce un radicale rifacimento ad opera dello scultore Lorenzo Ottoni; il gran numero di getti d'acqua rispondeva non solo ad una finalità estetica, ma soprattutto ad uno scopo pratico per la popolazione, tra cui era molto radicato l'uso di portare animali ad abbeverarsi e di condurvi carri per lavarli. Distrutta nel 1944 durante la guerra, la fontana viene ricostruita fedelmente nel 1960, secondo il modello dell'Ottoni. Nell'ambito di un piano comunale di restauri sulle antiche fontane della città, il primo intervento (1988) ha riguardato la fontana di piazza del Popolo restituendola ai colori originari: il bianco della pietra d'Istria e il rosso del marmo veronese. Ancora oggi, come quando era detta ‘la pupilla di Pesaro’, centralizza lo spazio cittadino e continua ad essere punto di riferimento per i pesaresi.
PALAZZO DUCALE
Il palazzo, il più antico dei quattro che sorgono ai lati di piazza del Popolo, viene costruito a più riprese dai Signori che governano la città nel periodo fra 1285 e il 1625: i Malatesta, gli Sforza e i Della Rovere. Il nucleo originario si deve probabilmente ai Malatesta (1285-1445) e precisamente a Malatesta dei Sonetti (1368-1429). Alessandro Sforza per primo (duca dal 1445 al '73) amplia la dimora ducale per adeguarla alle esigenze di una moderna corte rinascimentale, iniziando la ristrutturazione che ingloba la parte malatestiana entro un corpo di fabbrica affacciato sulla piazza con altri tre edifici disposti intorno ad un cortile quadrangolare. Il figlio Costanzo (1473-'83) continua ad abbellire la corte chiamando presso di sé artisti illustri come lo scultore pistoiese Domenico Rosselli che scolpisce porte, camini e finestre poi andati distrutti ad eccezione delle finestre del Salone Metaurense. Solo il corpo frontale della dimora sforzesca si è conservato, anche se con alcune modifiche. Della facciata la parte più integra è quella inferiore con un ampio porticato in sei arcate; la parte superiore ha subìto modifiche molto più radicali. La merlatura che corona l'edificio, più volte modificata, viene sostituita da un cornicione nel 1774; l'attuale, del 1926, è di proporzioni molto più vistose rispetto a quella quattrocentesca. Le arcate delimitano un'ampia loggia aperta con volte a crociera che si ripetono nel vestibolo. Tracce quattrocentesche ritornano nella Sala Laurana. Eventi bellici insieme con l'incendio del 1514 danneggiano pesantemente la dimora sforzesca. I Della Rovere, nuovi signori di Pesaro (1513-1625), provvedono prima di tutto alla ricostruzione. Tra il 1523 e il '32, Francesco Maria I affida i restauri a Girolamo Genga che ristruttura integralmente i palazzi sforzeschi senza modificarne l'estensione. Con Guidubaldo II (1538-'74) i lavori proseguono verso la metà del '500 affidati al figlio di Girolamo, Bartolomeo, che rivede integralmente l'assetto degli interni e completa l'ala lungo il corso fino a via Barignani, iniziando la costruzione a pianterreno dei botteghini per gli artigiani. Le nozze del duca con Vittoria Farnese nel 1548 sono un'ulteriore occasione per ampliare e abbellire il palazzo cui viene dato un aspetto sfarzoso grazie anche al contributo di artisti come Federico Brandani, Taddeo Zuccari e Ludovico Carracci. Francesco Maria II (1574-1625) - in vista delle nozze del figlio Federico Ubaldo con Claudia de' Medici - affida nel 1616 a Niccolò Sabbatini la costruzione dell'ala tra la piazza e via Zongo adibendola ad appartamento del figlio. Con Francesco Maria II inizia tuttavia la lenta e progressiva decadenza della corte che investirà l'intero ducato. Con il cortile d'ingresso si entra nella parte cinquecentesca fatta costruire dai Della Rovere; agli interni si accede dalla sala d'attesa caratterizzata da un camino di Bartolomeo Genga ma è nel Salone Metaurense che l'apoteosi della famiglia raggiunge l'apice. Tra gli spazi esterni rovereschi ci sono, oltre al cortile d'ingresso, il cortile della "caccia" e il giardino segreto. Dopo la devoluzione del Ducato alla Santa Sede nel 1631, il palazzo diviene abitazione dei cardinali legati causando la decadenza di gran parte degli appartamenti. Per tutto il '700 numerosi sono stati i danni dovuti a cause naturali e umane. Solo verso la metà dell'800 si è avuta una piccola rinascita del palazzo dovuta ai prelati che commissionarono a Romolo Liverani le decorazioni delle cinque sale del corso. Dopo la proclamazione del Regno d'Italia, il palazzo è divenuto - e lo è tuttora - sede degli uffici della Prefettura. Dal 1920 al 1936 ospita i Musei Civici prima della loro sistemazione definitiva in palazzo Toschi Mosca.
TEATRO GIOACCHINO ROSSINI
Il Teatro Rossini viene inaugurato come Teatro del Sole nel 1637, durante il pontificato di Urbano VIII che concede, come luogo per gli spettacoli pubblici, le vecchie scuderie ducali costruite da Federico Ubaldo Della Rovere. L’edificio subisce nel tempo diverse trasformazioni; una vera e propria ricostruzione si deve all’architetto Pietro Ghinelli tra il 1816 e il 1818, anno in cui è inaugurato come Teatro Nuovo con una eccezionale rappresentazione de La gazza ladra diretta dallo stesso Gioacchino Rossini, già celebre anche se appena ventisettenne. Del vecchio edificio si salva il portale bugnato di Filippo Terzi che tuttora costituisce l’ingresso principale. La struttura in stile neoclassico progettata da Ghinelli, a ferro di cavallo e con quattro ordini di palchi, è quella definita ‘del teatro all’italiana’; a quest’epoca risale anche il sipario del pittore milanese Angelo Monticelli. Nel 1855 il teatro viene intitolato a Rossini. Nel 1934 viene ricostruita la facciata, modificato il ridotto e realizzata un’ampia sala (l’attuale Sala della Repubblica) all’altezza del terzo ordine di palchi. L’ultimo restauro strutturale è degli anni settanta dopo che il teatro viene dichiarato inagibile nel 1966. La riapertura del Rossini nel 1980 decreta l’inizio di una vita intensissima in contemporanea con la nascita del Rossini Opera Festival. Un ulteriore intervento dal 1998 al 2002 è stato necessario per adeguare l’edificio alle più recenti normative sulla sicurezza. Il teatro ospita nel corso dell’anno: produzioni liriche e concerti del Rossini Opera Festival, la rassegna che si tiene ogni anno, nel mese di agosto, dedicata alle opere scritte dal compositore pesarese che richiama amanti e appassionati del genere musicale da tutto il mondo, la Stagione Teatrale, la Stagione Concertistica, il Festival Nazionale d’Arte Drammatica.
CASA ROSSINI
La casa natale di Gioacchino Rossini ha una storia antica. Al XV secolo risale la realizzazione dei piani terra e primo, mentre i due superiori sono aggiunti in seguito. Nei primi decenni del Settecento, una consistente ristrutturazione coinvolge facciata e interno. Qui Gioacchino Rossini nasce il 29 febbraio 1792 e qui trascorre i primi anni di vita con la sua famiglia. Il Comune acquista l’edificio nel 1892; adibita a museo, la casa viene dichiarata monumento nazionale nel 1904. Il restauro nel biennio 1988-’89 permette di consolidare la costruzione e di rivedere l’esposizione secondo criteri scientifici. I materiali esposti provengono da diverse donazioni giunte a Pesaro in gran parte a fine Ottocento. Il nucleo più consistente proviene da Parigi, dal grande collezionista di cimeli rossiniani Alphonse Hubert Martel; si tratta soprattutto di stampe, incisioni e litografie legate alla vita e all’opera del compositore che comprendono una ricca serie di ritratti ufficiali e una galleria dei cantanti che hanno contribuito alla fortuna delle opere rossiniane in Francia. Il piano terra espone le stampe dedicate agli interpreti dell’ultima fase creativa di Rossini nell’opera lirica, tra cui alcuni dei più celebri cantanti del XIX secolo: Adelina Patti in costume di Rosina (Il barbiere di Siviglia), Giovan Battista Rubini in costume di Otello, Giuditta Pasta in costume di Tancredi, Gilbert-Louis Duprez in costume di Arnold (Guillaume Tell). Nel piano seminterrato è allestita una saletta in cui si proiettano opere tratte dalle edizioni recenti del Rossini Opera Festival.
Il primo piano della casa accoglie una galleria di circa trenta ritratti a stampa di Rossini, ordinati cronologicamente dalla giovinezza alla vecchiaia; nella stanza degli ‘ultimi giorni’ trascorsi a Passy presso Parigi, campeggia un disegno di Gustave Doré con il compositore sul letto di morte. La sezione comprende anche una gustosa collezione di caricature - tra cui una statuetta in terracotta di Jean-Pierre Dantan - che mette alla berlina Rossini e altri personaggi dell’ambiente musicale ottocentesco. La stanza dedicata alla musica, infine, ospita un fortepiano, strumento a tastiera costruito a Venezia nel 1809, e alcuni autografi del maestro.
MUSEI CIVICI - PALAZZO TOSCHI MOSCA
Composti da una Pinacoteca e da un Museo delle Ceramiche, dal 1936 i musei sono accolti a palazzo Toschi Mosca, imponente edificio nel cuore del centro storico a pochi passi dal fulcro ‘antico’ della città - piazza del Popolo -, ma anche dal mare con i viali alberati e le sue spiagge. Tra sale espositive e depositi conservano un patrimonio davvero ricco e articolato: dipinti, arti decorative con una notevole raccolta di maioliche e porcellane, un fondo eccellente di disegni e stampe. Anche la scultura è presente con diversi manufatti, alcuni di grande qualità. I dipinti della Pinacoteca - dal XIV al XX secolo - condividono una matrice comune: provengono per la gran parte da chiese della città e collezioni private. Parlando di dipinti non si può non partire dal capolavoro assoluto e indiscusso - vera e propria ‘icona’ dei musei comunali pesaresi - e cioè l’Incoronazione della Vergine di Giovanni Bellini. Arrivata a Pesaro via mare su una delle imbarcazioni che collegavano Venezia ai porti dell’Adriatico, la pala viene dipinta da Bellini intorno al 1475 ed è un esempio significativo delle vivaci relazioni culturali tra Pesaro e la Repubblica di Venezia al tempo della signoria degli Sforza. Nella sala Cantarini si trova la raffinata Adorazione dei pastori di Raffaellino del Colle, pittore che si forma a Roma alla bottega di Raffaello - è uno dei suoi allievi migliori - e Giulio Romano. Nella sala che accoglie le collezioni giunte alla città attraverso l’eredità del grande compositore Gioacchino Rossini, spicca invece un altro capolavoro: la seicentesca Caduta dei Giganti, unica opera di Guido Reni presente in città, che con la sua prospettiva ardita suggerisce una collocazione particolare: probabilmente la decorazione di un soffitto di una residenza privata. Di grandissimo interesse anche il Museo delle Ceramiche di cui si ricordano subito le prestigiose collezioni Mazza e Ugolini. Della prima fanno parte maioliche istoriate dei principali centri del Ducato di Urbino sotto i Della Rovere nella loro epoca di massimo splendore, il Cinquecento; tra le opere da citare assolutamente la coppa con il San Giuda Taddeo lustrata da Mastro Giorgio e attribuita ad uno dei massimi maiolicari del tempo, Nicola da Urbino, e la targa con l’Adorazione dei Pastori di Francesco Xanto Avelli, altro protagonista della ricca stagione cinquecentesca. La collezione Ugolini testimonia la celebre produzione pesarese ‘alla rosa’ del XVIII secolo. Se il museo civico della città dedica una intera sezione alla ceramica è perché si tratta di una tradizione ben radicata a Pesaro, che risale almeno al XIV secolo e che si protrae quasi ininterrottamente fino al Novecento passando attraverso Mengaroni, Valentini e Baratti solo per nominarne alcuni. L’eccellenza della raccolta dei musei di Pesaro risiede però non solo nel grande valore della produzione locale, ma anche nella presenza dei manufatti di alcuni dei centri italiani più prestigiosi, qui ben documentati.
CHIESA DI S. GIOVANNI BATTISTA
L'attuale chiesa sorge dove era stata costruita da Alessandro Sforza come mausoleo di famiglia: già nel 1536 viene però demolita per far posto alle mura volute dal duca Francesco Maria I Della Rovere. La riedificazione del complesso risale al 1543, affidata prima all'architetto Girolamo Genga (+1551), poi al figlio Bartolomeo (+1558). La lentezza dei lavori - che proseguono fino al 1656, anno della consacrazione - dipende, oltre che dalla cronica carenza finanziaria del ducato, anche dalla resistenza dei frati allo sfarzo del progetto in contrasto con il loro stile di povertà. L’esterno rimarrà così incompiuto nella facciata e nei fianchi senza però pregiudicare il valore monumentale dell’edificio. L'interno, a croce latina, viene ristrutturato soprattutto nel corso del XVII secolo. Nel 1729 vengono demoliti quattro dei nove altari per restituire equilibrio all'ampia navata che assume così l'aspetto odierno. La chiesa diviene la preferita dai pesaresi; è qui che si trovano fino alla fine del XVIII secolo le tombe delle più illustri casate cittadine: Almerici, Antaldi, Baldassini, Gavardini, Perticari. In base al decreto del 1860 che sopprime tutte le corporazioni religiose, i frati lasciano il convento che viene ceduto al Municipio nel 1867 e adibito a caserma e quartiere militare; così sarà anche durante le due guerre mondiali. Nel 1975 il ministro della Difesa Arnaldo Forlani dona alla città i locali dell'ex distretto militare, riservando il chiostro ai frati Minori.
CHIESA DI SANT’AGOSTINO
Costruita nel 1258 in stile romanico, dal 1282 diviene proprietà degli eremitani dell'Ordine di sant'Agostino che la dedicano a questo santo. Durante la seconda metà del Trecento, la preesistente chiesa viene modificata secondo il gusto gotico dagli agostiniani, sotto la speciale protezione dei Malatesti, signori della città. Come accade anche ad altri edifici religiosi, nel Settecento la chiesa subisce una radicale trasformazione che coincide con l’assetto attuale. Di gotico, la facciata conserva soltanto il portale, il più complesso e sontuoso degli ingressi delle tre chiese pesaresi del periodo malatestiano: sant'Agostino, san Francesco e san Domenico. Il portale di sant'Agostino è costruito tra il 1398 ed il 1413, per volere di Malatesta dei Sonetti. In pietra d'Istria e marmo rosso, è riccamente decorato di fregi, bassorilievi e colonnine. Ai suoi lati fanno la guardia due leoni, motivo iconografico malatestiano che si ritrova anche in san Domenico e san Francesco. L'interno ha sette altari, ornati da antichi e pregevoli dipinti. L'opera più significativa è il coro di noce a tarsìe pittoriche, uno dei più belli del Quattrocento, realizzato per celebrare la signoria sforzesca. Alla sua origine, infatti, sono probabilmente le nozze celebrate a Pesaro nel 1475 tra il signore della città Costanzo Sforza e Camilla d'Aragona, di cui si vedono i bellissimi ritratti scolpiti. Le 32 tarsie rappresentano vedute del territorio in cui spiccano architetture costruite o rinnovate sotto gli Sforza. La Pesaro gotica e sforzesca che non esiste più, è diventata nel coro di sant’Agostino una misteriosa città di luce e fiaba.
VILLA IMPERIALE
La Villa Imperiale sorge a pochi chilometri da Pesaro, immersa nel paesaggio del Parco Naturale del Colle San Bartolo, che ne tutela l’originario rapporto con la natura. E’ considerata una delle opere più sorprendenti del Rinascimento italiano. È composta da due costruzioni molto differenti tra loro, collegate da un corridoio pensile: la vecchia villa quattrocentesca degli Sforza, ex signori di Pesaro, e l’ala cinquecentesca progettata dall’architetto urbinate Girolamo Genga per i duchi Della Rovere. I suoi fasti vennero meno per un lungo periodo, che durò dal 1631 al XIX secolo, quando la villa passò alla famiglia Albani, unita a quella dei Castelbarco. Solo grazie alla cura e ai restauri dei nuovi proprietari si è riusciti con gli anni a restituire l’antico splendore della dimora roveresca. La Villa Imperiale rappresenta ancora oggi lo scenario di una antica villa suburbana in cui natura e architettura trovano il loro perfetto equilibrio. Teatro, fin dalle sue origini, delle cerimonie e delle celebrazioni di corte, la villa mantiene ancora oggi la sua originaria vocazione per l’accoglienza e l’ospitalità. La villa Imperiale è visitabile unicamente nel periodo estivo, da giugno a settembre, tutti i mercoledì, solo previa prenotazione.
ROCCA COSTANZA
Costruita da Costanzo Sforza fra il 1474 e il 1483, Rocca Costanza costituisce la più importante opera di fortificazione della città. Il progetto è iniziato dall’ingegnere Giorgio Marchesi da Settignano e affidato dopo pochi mesi ad altri, forse a Luciano Laurana. Il contratto del 12 febbraio 1479 (per la fornitura di alcuni materiali) è l’ultimo documento in cui viene nominato l’architetto, che muore in quello stesso anno.
I lavori proseguono sotto la guida di Cherubino da Milano, anche se rallentati per la peste che imperversa a Pesaro. Il 28 ottobre 1500 Cesare Borgia occupa la città, destituisce Giovanni, figlio naturale di Costanzo, e fa confluire nel fossato della rocca l’acqua dell’Adriatico, forse su consiglio di Leonardo da Vinci, suo ingegnere militare. Ristabilito il dominio sforzesco, nel 1503 Giovanni completa l’opera del fossato iniziata dal Borgia; a lui si deve anche la sistemazione delle residenze e il restauro complessivo. Morto Giovanni nel 1510, la rocca viene ceduta nel 1513 dal fratello Galeazzo a Francesco Maria I Della Rovere, già duca di Urbino e nuovo signore di Pesaro. L’edificio subisce un ulteriore restauro nel 1657 dopo la devoluzione del ducato alla Stato Pontificio. Trasformata in carcere nel 1864, la rocca è stata ‘liberata’ da questa funzione nel 1989. Sede estiva di eventi culturali anche legati al Rossini Opera Festival, la rocca è attualmente coinvolta da un complesso restauro.
ITINERARI NATURALI
PARCO NATURALE DEL MONTE SAN BARTOLO
Il Parco naturale di Monte San Bartolo, costituito nel 1994 ed operativo dal 1997, con una superficie territoriale di circa 1600 ettari, è compreso nella provincia di Pesaro Urbino ed è delimitato dai fiumi Foglia e Tavollo. Tratto caratteristico del parco sono la falesia a mare e il versante interno. La falesia emerge dalle basse spiagge marchigiane come un susseguirsi ondulato di speroni e valli, intervallate da pareti a strapiombo. Le cime, che sfiorano i 200 metri, permettono un'ampia visione sulla costa e sull'Adriatico, e costituiscono un paesaggio inusuale rispetto alle coste sabbiose tipiche di Marche e Romagna. Questo ambiente mostra aspetti geologici di grande interesse, con pesci fossili e rari cristalli di gesso. Alla base del colle corre una sottile spiaggia di ghiaia e ciottoli, formata dalla demolizione e dal franamento delle pareti sovrastanti. Il Paesaggio rurale che si scorge nel tratto che degrada dolcemente verso la Statale adriatica, trasmette un senso di armonia, una sorta di intreccio vitale e gradevole tra i coltivi, i campi abbandonati rinaturalizzati e i filari di alberi e siepi. Facilmente raggiungibile sia in macchina che in bicicletta oltre che percorso ideale, con le sue numerose curve, per gli itinerari motociclistici.
LA RISERVA NATURALE GOLA DEL FURLO
Il nome Furlo proviene da Forulum, Piccolo Foro volgarizzato poi in Forlo e quindi Furlo. Il popolo italico che per primo comprese l'importanza della viabilità nell'economia fu quello etrusco, che costruì la strada di collegamento tra Roma e Rimini, l’attuale Flaminia, chiamata così due secoli più tardi dal console Flaminio che la fece lastricare. Nel 1922 vi passò Mussolini, le cui soste lo portarono a contatto con l'albergatore Candiracci. Nel 1936 la milizia forestale volle immortalare l’immagine del Duce attraverso il famoso profilo nella montagna. Durante la seconda guerra mondiale, il Furlo visse momenti di tensione, ma non fu teatro di feroci scontri. Gli anni settanta furono invece anni devastanti, soprattutto per il paesaggio, rovinato dall’attività delle cave. Negli anni ottanta sono state costruite due nuove gallerie di 3391 m. che da allora assorbono il traffico della Flaminia, restituendo la gola alla gioia dei suoi estimatori. Oggi, è la terza area protetta della provincia di Pesaro e Urbino , con i suoi 3.600 ettari di boschi, pascoli e cime incontaminate. Un autentico paradiso, attraversato dal fiume Candigliano che si insinua tra le imponenti pareti rocciose della Gola, dove la suggestione del paesaggio si unisce a una prodigiosa ricchezza naturalistica che vanta esemplari di flora e fauna davvero singolari. Basti pensare all’aquila reale, al falco pellegrino, al gufo reale, al picchio muraiolo, alla rondine montana, al rondone maggiore e al granchio corallino. E poi al Furlo vivono lupi, caprioli, daini, cinghiali. La vegetazione che ricopre le cime del massiccio è costituita in prevalenza da querceti con roverella, carpino nero, orniello, acero, sorbo. Assai variegato anche l’habitat fluviale e ripariale, così come ricchissima è la vita che pullula nelle foreste, nei pascoli e nei cespuglieti.