PAESAGGI NATURALI DELLA PROVINCIA DI ASCOLI PICENO
IL PARCO NAZIONALE DEI MONTI SIBILLINI
Il Parco nazionale dei Monti Sibillini si estende a cavallo delle regioni Marche e Umbria, ricadendo nelle province di Macerata, Fermo, Ascoli Piceno e Perugia. Il parco è stato istituito nel 1993 e si estende per una superficie di circa 71.437 ettari, su un terreno prevalentemente montagnoso. Il paesaggio predominante è quello del massiccio calcareo della catena degli Appennini, che in questa zona funge da tramite tra le forme più morbide della parte tosco-emiliana e le massime altezze abruzzesi, assumendo tratti severi e scoscesi. Dall'asse principale della dorsale appenninica degradano un versante orientale e uno occidentale. Il primo è caratterizzato da una grande varietà di paesaggi e ambienti naturali. I fondivalle dei fiumi e dei torrenti si articolano in gole strette e impressionanti (come le suggestive Gole dell'Infernaccio), create dalle attività telluriche e dall'erosione. Il versante occidentale degrada dolcemente verso l'Umbria con una serie successiva di depressioni ad alta quota, i famosi Piani di Castelluccio. Nell’area si contano 1800 specie di piante, 150 di uccelli, 20 fra rettili e anfibi, 50 di mammiferi e oltre 700 specie di farfalle. Numerose sono le possibilità di escursioni tra i boschi ricchi di funghi, verso Forca di Presta, il Monte Vettore, il lago di Pilato, Forca Canapine e i Monti della Laga. Nel sorprendente scenario dei Monti Sibillini e dei Monti della Laga richiede una visita la quattrocentesca Chiesa di San Lorenzo a Paggese con affreschi del XV secolo e un trittico del 1483, attribuito a Pietro Alemanno o ai suoi seguaci, e a Castel di Luco, la singolare residenza signorile fortificata a pianta circolare, costruita nell’XI secolo, su un enorme basamento di travertino, oggi trasformato dai proprietari in un ristorante e hotel.
ACQUASANTA TERME
Incastonata tra i Monti della Laga, a sud, e i Sibillini a nord, Acquasanta Terme occupa l’alta valle del fiume Tronto ed è abbracciata da fitti boschi di castagni, abeti, faggi e querce. Un territorio generoso che, come rivela il nome della località, regala preziose fonti di acque termali, la cui storia passata va di pari passo con quella del paese. Quello che in epoca preistorica costituiva un rudimentale tratturo divenne in età augustea la via consolare, e Acquasanta era il punto più indicato in cui sostare: il territorio ricco di grotte e i vapori caldi delle acque termali la rendevano nota già in quel periodo. Contesa nel corso dei secoli da numerose popolazioni, dai Longobardi ai Franchi, influenzata per un periodo dai monaci benedettini di Farfa e dominata poi dai vescovi-conti di Ascoli, Acquasanta ebbe una storia piuttosto travagliata, ma seppe affermarsi sempre più come importante città del benessere. Le proprietà curative delle acque sulfuree locali sono conosciute sin dall’antichità, ma la costruzione del moderno complesso termale risale al 1780, quando Lazzaro Giosaffatti diede l’avvio ai lavori. Le acque, solfuree e salsobromoiodiche, sgorgano naturalmente a una temperatura di 38,6°C e vengono utilizzate nel confortevole complesso termale per diversi trattamenti sia a livello medico che estetico.
IL MONTE VETTORE
Dal latino Victor, vincitore, è il rilievo montuoso più alto del massiccio dei Monti Sibillini, con i suoi 2.476 metri di altitudine, compreso all'interno del Parco Nazionale dei Monti Sibillini, appartenente al comune di Montemonaco, provincia di Ascoli Piceno. La sua vetta è la più alta di un arco montuoso che ha una caratteristica forma ad "U". Durante il Pleistocene superiore (da 125.000 a 10.000 anni fa) il ghiacciaio ha trascinato in avanti detriti morenici che hanno generato, sul versante nord-orientale, uno sbarramento naturale creando un circo glaciale che oggi ospita il Lago di Pilato. Il Monte Vettore presenta una fascia trasversale di ghiaia che è detta la strada delle fate. La leggenda popolare narra che una volta, le fate, si siano fermate più a lungo a danzare con i giovani di Pretare e che per non essere sorprese all'alba, fuggirono con tanta precipitazione da lasciare le loro impronte sulla montagna, creando così la loro strada. Il racconto è noto sia agli studiosi delle tradizioni popolari che ai valligiani. A Pretare, paese che appartiene al comune di Arquata del Tronto, posto alle falde del Monte Vettore, nel giorno della ricorrenza san Rocco si fa rivivere quest'antica ed originale leggenda. Un gruppo di giovani donne, vestite da fate, raggiunge lentamente il centro del paese da una strada di campagna, e arrivate alla piazza danno inizio alle danze.
LAGO DI PILATO
Il Lago di Pilato è uno specchio d'acqua montano situato sul Monte Vettore, nel massiccio e nel Parco Nazionale dei Monti Sibillini ad una quota di 1.941 m s.l.m., appartenente al comune di Montemonaco, provincia di Ascoli Piceno. È conosciuto e spesso definito "il lago con gli occhiali" per la forma dei suoi invasi complementari e comunicanti nei periodi di maggiore presenza di acqua. Collocato tra le pareti impervie e verticali immediatamente sotto la cima del Monte Vettore, il lago di Pilato è uno dei pochissimi laghi glaciali di tipo alpino presenti sull'Appennino e l'unico lago di origine naturale delle Marche. Le dimensioni e la portata d'acqua dipendono dalle precipitazioni e dallo scioglimento delle nevi, che ricoprono per buona parte dell'anno la superficie dello specchio d'acqua fino all'inizio dell'estate. In base al livello d'acqua, il lago può apparire unico, oppure diviso in due bacini, da cui deriva il soprannome di "lago con gli occhiali". Il lago ospita un particolare endemismo, il Chirocefalo del Marchesoni: un piccolo crostaceo di colore rosso che misura 9-12 millimetri e nuota col ventre rivolto verso l'alto, che ha trovato in questo lago l’unico habitat per riprodursi, per cui vi è un divieto di balneazione e di avvicinamento a meno di cinque metri dalla riva, per non compromettere l'ecosistema di questo animale unico. Nella tradizione popolare prende il suo nome dalla leggenda secondo la quale nelle sue acque sarebbe finito il corpo di Ponzio Pilato condannato a morte da Tiberio. Il corpo, chiuso in un sacco, venne affidato ad un carro di bufali lasciati liberi di peregrinare senza meta e sarebbe precipitato nel lago dall'affilata cresta della Cima del Redentore.
ARQUATA DEL TRONTO
Ai piedi del Monte Vettore (m 2474), il comune di Arquata del Tronto, immersa in una cornice di paesaggi alpestri e verdi vallate, gode di una singolare posizione geografica, all’incrocio di Marche, Abruzzo e Lazio. È l'unico comune d'Europa racchiuso all'interno di due aree naturali protette: il Parco Nazionale del Gran Sasso e Monti della Laga, a sud, ed il Parco Nazionale dei Monti Sibillini a nord. Il centro urbano è stato costruito a cavallo di un'altura nella zona dell'Alta valle del Tronto, lungo il versante sinistro dell'omonimo fiume che attraversa la zona, alle falde delle montagne che lo circondano, tra il corso stesso del fiume e il Fosso di Camartina. Il paese dista circa 30 km dal capoluogo Ascoli Piceno, 55 km dall’Adriatico e 30 km da Norcia. La città fortezza di Arquata, compatta ed austera, si erge col suo castello medievale nel bel mezzo di una terra ricca e selvaggia, che da sempre ha destato fantasie, sogni e speranze. Le prime notizie certe e documentate su Arquata si trovano nel periodo dell'alto medioevo quando, nel VI secolo, era definita Terra Summantina. Ulteriore e successivo riferimento storico è fornito dall'invasione del popolo longobardo che giunse fino a Spelonga, dove forse esisteva un castrum. Ne ricompare la citazione nella cronaca del viaggio intrapreso da Carlo Magno che, nell'800, attraversò questi luoghi per recarsi a Roma in occasione della sua incoronazione.
LA ROCCA
Nel XIII secolo la città di Ascoli, con il contributo di Amatrice e Castel Trione, costruì la fortezza sulla sommità della rupe a nord del paese e, da questo momento, la storia di Arquata si confonderà e si sovrapporrà a quella della sua Rocca merlata, leggendario teatro di segreti incontri d’amore della regina Giovanna II di Napoli, aspramente contesa tra norcini e ascolani per circa tre secoli. Nell'anno 1215, si ricorda la visita di san Francesco d'Assisi, qui giunto nella sua missione di apostolato.
LE CHIESE
Oltre un ricco patrimonio ambientale, la cittadina conserva numerose testimonianze artistiche nelle chiese dell’Assunta (Crocifisso ligneo del XIII sec.), di san Francesco a Borgo (copia autentica della Sindone, XVII sec. e all'interno dell'incasato della frazione di Capodacqua, un autentico gioiello architettonico, l'oratorio a pianta ottagonale dedicato alla Madonna del Sole, attribuito, in origine, al noto artista Cola dell'Amatrice. L'interno presenta affreschi del '500, attribuiti a diversi artisti: quello più interessante è sicuramente l'Assunzione della Beata Vergine, un'opera drammatica, scenograficamente complessa e riferibile alla cultura rinascimentale. Sopra l'altare maggiore un quadro di un autore ignoto, la "Madonna tra le nuvole", si ricollega ad un fatto avvenuto in epoche lontane. In passato erano frequenti le liti tra Norcia e la comunità di Capodacqua per il possesso dei ricchi pascoli e dei boschi di Forca Canapine. Durante uno di questi incidenti la tensione era arrivata a tal punto che sembrava inevitabile il ricorso alle armi; per evitare scontri sanguinosi i contendenti si accordarono per interrompere lo scontro nel momento in cui ci sarebbe stato il primo caduto. All'improvviso una fitta nebbia impedì il proseguimento della contesa. Dal lato dei nursini, la nebbia appariva come una nuvola impenetrabile mentre da quello dei capodacquani la Madonna del Carmelo, assisa in trono con in braccio il figlio, dava mostra della propria benevolenza. Un soldato di Capodacqua approfittò della confusione e uccise uno di Norcia, ponendo fine alla tenzone e fissando così i confini delle rispettive competenze territoriali. A ricordo dell'intervento miracoloso della Vergine, gli abitanti della frazione, a Luglio, celebrano una processione seguita da una grande festa popolare.
MONTEMONACO
Le prime indagini storiche su Montemonaco condotte nella prima metà del Novecento da Augusto Vittori fanno risalire l'origine del toponimo ad un nucleo di monaci Benedettini stabilitosi in questo piccolo altopiano sin dall'VIII secolo. L'incastellamento e la costituzione in libero comune avvenne nel XIII secolo dopo che si era notevolmente indebolita l'autorità dei Nobili di Monte Passillo e degli altri signorotti locali. Fu allora che i montemonachesi costruirono le alte mura in pietra intervallate da torrioni, che sin d'allora resero Montemonaco indipendente e fiera nel respingere gli attacchi dei vicini Comuni di Norcia, Montefortino, Amandola, Arquata e persino di Francesco Sforza e di Niccolò Piccinino ai quali, a dispetto di Amandola e Montefortino che nelle diverse occasioni erano state sempre conquistate, riuscirono ad imporre patti di reciproca convenienza.
Torrioni delle mura castellane di Montemonaco
Talmente orgogliosa delle proprie tradizioni, che la vedevano sin dal X secolo aggregata alla diocesi di Fermo e al Presidiato Farfense, recalcitrò non poco nel piegarsi al potente Papa montaltese Sisto V che l'aggregò alla diocesi di Montalto, da lui appena creata, nel 1586. Nei secoli successivi il territorio di Montemonaco perse via via la sua importanza strategica che l'aveva qualificato, sin dal Medioevo, un particolare snodo viario al centro degli intensi traffici lungo la viabilità nord/sud del versante adriatico della penisola. La storia di Montemonaco tuttavia, al di là dei poteri costituiti che nel tempo ne hanno segnato le vicende civili è stata influenzata, fin dall'epoca pagana, dalla presenza dell'icona della Sibilla Appenninica e della sua mitica Grotta. Una presenza dai molteplici riflessi e con la quale la piccola comunità, amministrata dal potere centrale della Chiesa, nel corso della sua storia ha vissuto momenti di non sempre facile convivenza. Fra gli accadimenti del XV secolo, che contribuiranno ulteriormente, nei secoli successivi, a far conoscere Montemonaco, ben oltre il suo naturale ambito geografico, ve ne sono di significativi almeno due: da una parte la venuta in queste terre del cavaliere francese Antonie de La Seta al servizio della Duchessa Agnese di Borgogna nel 1420, dall'altra, la pubblicazione nel 1473 del Romanzo di Andrea da Barberino, Guerrino detto meschino. Entrambi gli avvenimenti si muovono sullo sfondo della leggenda della Sibilla Appenninica e il complesso ipogeo della sua Grotta, ricompreso sin dall'antico nel territorio montemonachese. Ma mentre nel romanzo di Andrea da Berberino, Montemonaco è citata marginalmente in una trama letteraria tutta incentrata sulla leggenda della Sibilla Appenninica e della sua mitica grotta, il diario autoptico di Antonie de La Sale (quel che dirà di vedere o di ascoltare dalla viva voce dei Montemonachesi, lo annoterà riportandolo nel capitolo intitolato Le Paradis de la Reyne Sibylle, all'interno della sua Salade) è storicamente interessante come primo indiretto tentativo di cui si abbia notizia volto a laicizzare la leggenda della Sibilla all'inizio della Rinascenza. La fama della Sibilla Appenninica doveva aver raggiunto la Borgogna se la Duchessa Agnese pare avesse un arazzo nel suo castello con la rappresentazione della grotta della Sibilla. Inviò allora il cavaliere De La Sale a Montemonaco per verificarne la veridicità (se il disegno su cui avevano realizzato l'arazzo era frutto di fantasia o corrispondeva alla realtà). De La Sale partì quindi dalla Borgogna e arrivò in Umbria, fece tappa ad Assisi e Spoleto, dove lasciò incise le sue insegne nella Basilica di San Francesco d'Assisi e nel Duomo spoletino. Quindi attraverso il passo di Sasso Borghese il 28 maggio 1420 giunse a Montemonaco. Lì ascolta dalla voce dei Montemonachesi fra cui Antonio Fumato i racconti sulla Regina Sibilla, cerca di capire se esistono veramente Fate e Sibille, e inizia ad incamminarsi verso la Grotta. De La Sale tornerà a Montemonaco una seconda volta nel 1440.
CHIESE E MONUMENTI
All'interno della cinta muraria, nella parte alta del paese, limitrofa alla porta San Biagio e addossata alle antiche mura, fu edificata nel XVI secolo la chiesa parrocchiale di San Benedetto. Contigua alla più antica San Biagio intra mœnia del XV secolo, che fu eretta ampliando un piccolo oratorio del XIII secolo, la chiesa di San Benedetto conserva all'interno di una lunetta, un affresco con una crocifissione attribuita alla scuola del Crivelli, un braccio d'argento, contenente la reliquia di San Benedetto da Norcia, opera del maestro orafo Cristoforo da Norcia e un crocifisso ligneo di arte marchigiana del XV secolo. Scendendo lungo viale Italia s'incontra sulla destra la chiesa di San Giovanni Battista del XV secolo ad un'unica navata. Di pregevole conserva una Vergine del soccorso opera del pittore Vitruccio Vergari databile al 1520. Nell'abside, semicircolare, si trova una nicchia, incorniciata da due bastoni fioriti con finale a testa di serpente di ambito neoplatico e che doveva accogliere probabilmente una statua in epoca quattrocentesca. Proseguendo ancora lungo la via, si innalza il cinquecentesco palazzo dei Priori (oggi sede del comune). Il palazzo è il frutto di un rimaneggiamento della fine del XVI secolo della più antica struttura degli inizi del XV secolo. Dell'antico castello in cima al paese non v'è più traccia se non nel toponimo di via di Castello. Al termine della via, nella parte più alta di Montemonaco, sorge un grande belvedere, oggi Parco Montiguarnieri, delimitato a settentrione da un tratto delle antiche mura, e da cui l'ampia vista panoramica domina verso est il degradare delle colline fino al Mare Adriatico e ad ovest la catena dei Monti Sibillini che, da Monte Sibilla a Monte Vettore, raccoglie il declinare dell'altopiano dove sorse il Borgo fortificato.
SANTUARIO MADONNA DELL'AMBRO
Il Santuario prende il suo nome dal vicino Torrente Ambro, affluente del fiume Tenna, è uno dei santuari delle Marche più antichi e più visitati, dopo Loreto. Posto nel cuore del Parco dei Sibillini, è situato a 658 m di altitudine, incastonato tra Monte Priora e Monte Castel Manardo, in uno scenario di rara bellezza. Il Santuario, chiamato anche "la piccola Lourdes dei Sibillini" perché assomiglia molto al più grande e famoso Santuario della Francia, ha avuto origine dall'apparizione della Vergine ad una bambina di nome Santina sordomuta fin dalla nascita. In cambio delle preghiere e delle offerte di fiori che la ragazza era solita portare presso un'immagine della Madonna posta nella cavità di un faggio, la Santa Vergine le dette il dono della parola. Il santuario, il porticato ed il campanile sono costruzioni del XX secolo ma le prime notizie del santuario risalgono al 1037 quando i feudatari del luogo, legati all'Abbazia Benedettina di S.Anastasio, la abbellirono donando ai frati alcuni beni. Nel 1602 l'edicola divenuta troppo piccola e danneggiata dall'usura del tempo, fu ricostruita più grande, ma nell'anno successivo, l'architetto Venturi di Urbino iniziò la costruzione di una nuova grande chiesa incorporandovi la precedente in modo che l'immagine della Madonna, attraverso un ampio finestrone, apparisse come pala dell'altare maggiore. A tutt'oggi è ancora così: la statua di Maria, una figura maestosa, scolpita in pietra e seduta in trono, sorride dalla grata sopra l'altare. La vecchia cappella è tappezzata da centinaia di foto di bambini, famiglie, donne, uomini, soldati in bianco e nero che ringraziano la Madonna di una grazia. All'interno della chiesa ci sono dipinti di Sibille, a testimonianza di quanto la tradizione della Sibilla sia così radicata negli abitanti di questa terra che la connotazione negativa e demoniaca è una deformazione avvenuta soltanto in epoca recente: nel passato il sacro ed il profano si intrecciavano continuamente e senza traumi.
IL PARCO NAZIONALE GRAN SASSO E I MONTI DELLA LAGA
La mole dolomitica del Gran Sasso domina il paesaggio, stagliandosi sui monti, i colli, i pascoli e le valli coltivate. Il signore degli Appennini (2912 mt) si erge verticalmente ad est, con il maestoso "Paretone" e a meridione sui pascoli sterminati di Campo Imperatore, il Tibet del Parco. Le alte quote sono il regno delle nevi perenni e custodiscono il ghiacciaio più meridionale del continente, il Calderone. Verso nord, ai confini settentrionali, tra Abruzzo, Lazio e Marche, si osservano i profili più dolci della catena dei Monti della Laga, con la loro vegetazione di faggio, abete bianco, cerro e castagno. La luce si riflette nei corsi d'acqua che scorrono in superficie, precipitando nelle valli incise con cascate fragorose. Il Parco è attraversato da una fitta rete di sentieri escursionistici e dall'Ippovia del Gran Sasso, percorribile anche in mountain bike. Il territorio, diviso virtualmente in undici distretti turistici, rivela borghi medievali ben conservati, architetture rurali, castelli, eremi e abbazie: autentici tesori d'arte, di cultura, archeologia e tradizioni, incastonati in una natura emozionante. I numerosi Centri Visite e i Musei tematici del Parco, equamente distribuiti su tutto il territorio, sanno stupire per la ricchezza dei valori territoriali che racchiudono e comunicano. Il parco nazionale, istituito nel 1991, localizzato nel cuore dell’Appennino si estende nella maggior parte nella regione dell’Abruzzo (provincia dell'Aquila, Teramo e Pescara) ed in misura minore nel territorio adiacente del Lazio (Rieti) e delle Marche (Ascoli Piceno). Il parco si estende per una superficie di circa 141.341 ettari, su un terreno prevalentemente montagnoso comprendente il massiccio del Gran Sasso d'Italia e la catena dei Monti della Laga posta poco più a nord di questo, lungo la stessa dorsale orientale dell'Appennino centrale (Appennino abruzzese). Il territorio del parco è diviso in 11 distretti: tra i due regni, a cavallo del vecchio confine tra lo Santo Pontificio ed il Regno delle Due Sicilie (da cui il nome); il distretto si trova nei comuni di Campili, Civitella del Tronto, Toricella Sicura e Valle Castellana. La successione delle vette in quota è straordinaria: oltre 50 chilometri di aeree creste affilate, vertiginose pareti rocciose, torrioni slanciati, cime e vette, forre e valli, dolci pendii e tormentati versanti, sterminati altipiani; l'unica "interruzione" è rappresentata dal Valico delle Capannelle (1300 m), che, posto circa a metà strada, unisce i calcari e le dolomie del Gran Sasso con le arenarie dei Monti della Laga. Nei 50 chilometri di questo percorso "a fil di cielo", la natura si manifesta in alcune delle sue forme più peculiari ed il paesaggio, già di per se suggestivo e spettacolare, conserva, tra le innumerevoli pieghe, piante straordinarie, animali rarissimi, testimonianze dei trascorsi periodi glaciali.
Il Gran Sasso, in particolare, grazie alla sua natura litologica, ha ben conservato le tracce degli sconvolgimenti climatici ed ecologici delle glaciazioni. Gli animali e le piante che vivevano nell'Artico e nelle fredde lande steppiche orientali, costrette a cercare territori adatti alla loro sopravvivenza, migrarono verso Sud e ad Ovest, colonizzando nel corso di millenni anche le montagne dell'Appennino centrale. Alla fine dell'ultima espansione glaciale, alcune specie risalirono le alte quote delle montagne lasciate libere dai ghiacciai, originando in gran parte la flora, la vegetazione e la fauna delle alte quote del Parco <http://www.gransassolagapark.it/pagina.php?id=40>. Le espansioni dei ghiacciai, naturalmente, non hanno "soltanto" favorito la migrazione di piante ed animali, ma hanno anche lasciato indelebili tracce sul territorio. In conseguenza di ciò sussistono sui versanti settentrionali delle montagne del Gran Sasso oltre 50 circhi glaciali, come quelli del Monte Scindarella, tra i più spettacolari. Essi sono stati "scavati" dagli accumuli di ghiaccio che scivolava lentamente a valle, incidendo il terreno secondo quella forma a "U", caratteristica delle valli glaciali, che si può osservare chiaramente nella Val Maone o nella Valle del Venacquaro. Al termine dei loro lenti spostamenti verso valle, nel punto in cui il ghiaccio si scioglie, sono osservabili le morene, cioè gli accumuli di detriti che i ghiacciai hanno trascinato, raschiandoli ed asportandoli dal terreno; a Campo Imperatore, ad esempio, è straordinario osservare le tre morene concentriche lasciate a circa 1500 m di quota, presso le "Coppe di Santo Stefano". Altra forma di paesaggio poco nota, ma presente ed eccezionalmente ben conservata è quella dei rock-glaciers, che sono delle colate di pietre e detriti che hanno un nucleo di ghiaccio sepolto; sul Gran Sasso se ne possono osservare molti inattivi ma probabilmente ne esiste ancora uno attivo. Alle quote più elevate di Corno Grande i ghiaioni conservano ghiaccio anche in estate; tale straordinaria presenza è visibile nei suoli a strisce parallele recentemente scoperti sul massiccio e dovuti alla presenza di aghi di ghiaccio sotterraneo che sollevano il detrito e lo fanno scivolare lateralmente conferendo al terreno l'alternanza di strisce scure e chiare. I ghiaioni sono ambienti delicatissimi nei quali si gioca una partita di equilibrio tra il detrito che scivola a valle e le piante pioniere che colonizzano, grazie a radici lunghissime e fortissime, il substrato mobile. La ricchezza di tali ambienti è straordinaria e le piante sono quasi tutte endemiche.